
"La maggioranza assente" di Barbara Casavecchia
Trouvé parla spesso del suo lavoro come di un ecosistema, un organismo all’interno del quale gli elementi sono sempre interconnessi, perché si riflettono e si fanno eco a vicenda.
[…]
A Venezia, Trouvé dispiega il suo intero archivio di tracce, il suo inventario materiale di oggetti trovati e dei loro Doppelgänger riprodotti, e invita i visitatori a entrare nelle sue ere litiche e metalliche, le cui cronologie e temporalità non lineari coesistono, come nei ricordi o nei sogni Queste stratificazioni temporali iniziano al piano terra, dove il grande pavimento di marmo di Palazzo Grassi è stato ricoperto di asfalto, un materiale fondamentale per la deambulazione umana, così onnipresente e pervasivo che tendiamo a dimenticarne l’origine naturale. L’asfalto, infatti, è un idrocarburo liquido che trasuda da rocce formatesi dai resti di microscopiche alghe e altri organismi viventi, per lo più durante il periodo Carbonifero, quando gigantesche foreste pluviali e paludi ricoprivano la Terra. È stato uno dei primi materiali da costruzione mai utilizzati, in Mesopotamia e nel Sumer come anche in Cina, e non ha mai visto diminuire la sua fortuna. Le superfici di asfalto oggi proteggono i due terzi della popolazione mondiale che vivono nelle città dal contatto diretto con l’umidità instabile e destabilizzante del suolo.
[…]
Trouvé ha costellato la sua distesa di asfalto con dei chiusini raccolti in tutto il mondo. È solo quando li si osserva dall’alto, dalla balconata dell’atrio, che diventano i pianeti di una galassia sconosciuta, in un’inversione vertiginosa e disorientante di cielo e terra. Durante le «acque alte» veneziane, è dai chiusini che l’acqua sgorga anziché venirne inghiottita, cogliendo di sorpresa l’umana pretesa di controllare gli elementi. O di separarsi da essi. Come Gaia, i nostri corpi sono composti per più di due terzi d’acqua, che ci attraversa ogni giorno tramite orifizi e pori, per tornare a unirsi alla grande massa di fluidi che si muove attraverso il pianeta. Quel che teorizza la filosofa idrofemminista Astrida Neimanis – ovvero che siamo tutti corpi d’acqua, fluidamente connessi con i corpi naturali tramite trasformazione, dissoluzione e il continuo passaggio da uno stato all’altro – a Venezia si comprende con un’immediatezza che nasce dall’esperienza quotidiana della convivenza con una laguna, con le sue maree, correnti, onde, nebbie e cicliche alluvioni. Nel cosmo rovesciato, pietrificato e bituminoso di Trouvé, la superficie, indurita e idrorepellente per sua natura, viene perforata da portali che conducono all’universo liquido che le scorre sottopelle. Una visione potente, che fa perdere l’equilibrio. Trouvé parla spesso del suo lavoro come di un ecosistema, un organismo all’interno del quale gli elementi sono sempre interconnessi, perché si riflettono e si fanno eco a vicenda. Qui, pare impartirci una parabola su come rendersi permeabili e porosi al cambiamento, imparando ad assorbirlo e adattarsi. Alcuni urbanisti sostengono che una soluzione per evitare che l’acqua scorra sempre più violentemente sull’asfalto urbano sia progettare vere e proprie «città spugna» dotate di rain gardens, giardini della pioggia capaci di fare da collettori all’acqua piovana, di filtrarla e tornare a distribuirla. Come hanno fatto per secoli i pozzi veneziani. Allo stesso modo di Trouvé, Neimanis ci sfida a pensare in termini relazionali: «Proprio come gli oceani profondi custodiscono le testimonianze particellari delle ere geologiche precedenti, l’acqua conserva i nostri segreti più antropomorfi, anche quando preferiremmo dimenticarli. Il nostro passato più lontano e quello più immediato ci vengono restituiti sia nei rivoli che nelle inondazioni» (11).
11. A Neimanis, Or, On Becoming a Body of Water, in Undutiful Daughters: New Directions in Feminist Thought and Practice, a cura di H. Gunkel, C. Nigianni, F. Söderbäck, Palgrave Macmillan, New York 2012, p. 87.
Estratti del catalogo della mostra "Tatiana Trouvé. La strana vita delle cose" a Palazzo Grassi